Depositi del Mudec: dietro le quinte del museo

Le ricchezze nascoste del Mudec

L’intero patrimonio del Mudec è distribuito tra le sale espositive e i depositi visitabili, aperti al pubblico su appuntamento. Questi ultimi sono situati al piano terra e strutturati seguendo un criterio di natura geografica e cronologico. Si possono ammirare le opere divise per contesti di provenienza: Africa Occidentale e Centrale, Medio ed Estremo Oriente, America Meridionale e Centrale, Sudest asiatico e infine Oceania.
I lasciti più antichi provengono da diversi enti pubblici milanesi quali il Museo Patrio Archeologico di Brera, il Museo Artistico Municipale e il Museo di Storia Naturale, i più recenti sono giunti negli ultimi anni con il concretizzarsi del progetto del Museo delle Culture attraverso acquisti e donazioni da parte di privati. Il patrimonio è formato da più di 7.000 oggetti che coprono un arco cronologico che va dal 1500 a.C. al Novecento.

Collezione Precolombiana e Amerindiana: 1627 opere
Collezione Africa: 1162 opere
Comodato Alessandro Passaré di arte africana e oceanica: 448 opere
Comodato Franco Monti di arte africana: 33 opere
Collezione area islamica: 436 opere
Collezione Cina: 1028 opere
Collezione Giappone:1574 opere
Collezione Sud Est Asiatico: 285 opere
Comodato Mariangela Fardella e Giorgio Azzaroli di arte Asmat: 26 opere
Collezione cappelli e ventagli: 124 opere
Collezione strumenti musicali etnografici: 295 opere

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AFRICA

La visita ai depositi ha inizio con la sezione africana.
La raccolta si compone di due nuclei: una serie di manufatti che provengono dai più antichi fondi museali del Castello Sforzesco e che facevano parte delle collezioni etnografiche riunite durante il periodo di espansione coloniale italiana in Africa orientale, raccolti sul campo dai viaggiatori ottocenteschi, tra i quali Vigoni e Bertarelli. Si tratta di un numero esiguo di opere, sopravvissuto ai bombardamenti del 1943, che si è deciso di esporre all’interno dell’armadio che apre la sezione dedicata al continente africano.

Il secondo nucleo di sculture e maschere proviene principalmente dall’Africa sub sahariana.
Sono esposte parte delle collezioni del noto africanista Ezio Bassani, del medico e viaggiatore Alessandro Passaré e di Franco Monti.
La collezione comprende maschere e statuaria cerimoniale oltre a un cospicuo numero di oggetti d’uso (fra cui le porte e le serrature in legno scolpito provenienti dal Mali) e alcune piccole statue in terracotta databili tra il IX e il XVI secolo. Questo patrimonio, nel suo insieme, offre una prima immagine della produzione materiale dell’Africa Occidentale e Centrale.

Guinea, Popolazione Baga, sec. XX, legno, bullette metalliche. Nimba, maschera da spalle rituale. Questa particolare maschera, rappresentazione della madre, rimanda al parallelo tra fertilità della donna e fertilità dei campi: le sue performance, che trovano luogo in tutte le occasioni socialmente importanti, propiziano le nascite e le piogge, la crescita dei bambini e quella del riso.

Congo, Popolazione Bakongo, sec. XX, legno, specchio, resina. La statuetta reliquiario presenta il volto pieno e realistico dello stile Bakongo. Le braccia aderenti al busto sorreggono un reliquiario chiuso da un vetro che copre tutta la superficie del torso. All’interno è raccolta la “medicina”.

Africa, probabilmente assemblato in Benin, fine sec. XX, perle, vetro, conchiglie, semi, lega di rame. Questa collana è stata creata per il mercato di esportazione, il contenitore è adorno, nella parte bassa, da tre file di perle da cui dipartono numerosi decori. L’oggetto è il risultato di un assemblaggio di numerosi elementi di provenienza locale, europea ed asiatica. Il numero più elevato di conterie è costituito da perle ricavate da vetro riciclato in pezzi di diverse colorazioni prodotte in area Krobo. Esiste anche un alto numero di perle ricavate dalla polvere di vetro, alcune delle quali di antica fattura.

CINA

La maggior parte dei manufatti della collezione cinese è in terracotta e porcellana: si può tracciare la storia dell’uso di questi materiali dal periodo Tang (618-906 d.C.) fino al periodo Ming (1368-1644) (attraverso la collezione di celadon) per arrivare alle manifatture del Settecento e alla produzione tipo chine de commande: enormi servizi fatti fabbricare in Cina su committenza occidentale.

Si è concluso nel 2018 il progetto “Cineserie milanesi: una collezione da catalogare. Interconnessioni tra Lombardia e Cina nella collezione del Museo delle Culture”.
Grazie al generoso contributo di Regione Lombardia sono state aggiornate oltre 500 schede catalografiche su piattaforma SIRBEC relative alla collezione di opere provenienti dalla Cina. Un team di esperti ha ristudiato le opere precisando datazioni e attribuzioni culturali, alla luce di nuove contestuali ricerche.
Il progetto, che comprende anche una campagna fotografica dedicata, è volto alla documentazione del patrimonio, un passaggio fondamentale per la valorizzazione e la tutela delle opere.

Manifattura cinese, seconda metà della Dinastia Qing (1644-1911), porcellana a smalti della famiglia rosa o fencai. Vaso a forma di fiasca con breve piede circolare, decorato su tutta la superficie con il motivo dei petali del fiore di loto in rosa a smalto palpabile. La bocca, in verde, ha la forma del frutto del loto, particolare che lo rende un esemplare estremamente raro. Un modello simile è conservato nello Shanghai Art Museum.

Produzione cinese, XVIII secolo, porcellana. Servizio da thè tipo “chine de commande”. Fra ‘600 e ‘700 in Europa si sviluppò un crescente interesse per le “cineserie”, accompagnato dalla richiesta di manufatti artistici quali porcellane, lacche, dipinti, bronzi, giade; la città di Canton si specializzò quindi nel fornire su commissione oggetti d’arte prodotti esclusivamente per l’esportazione.

Beijing (Yuanmingyuan), 1750 – 1780, grès invetriato. Il soggetto è un Buddha di “lunga vita” Amitayus nei colori del giallo, del verde e dell’azzurro, poggiante su un trono formato da un sostegno rettangolare smaltato d’azzurro con decoro a doppia fila di petali di loto. La scultura, importante elemento decorativo architettonico, proviene dai templi imperiali dell’imperatore Qianlong di Pechino.

Produzione cinese, dinastia Tang (618-906 d. C.), terracotta smaltata. Bixie, sfinge bicorne. “Spirito della terra” a guardia delle tombe dell’epoca Tang, il suo nome significa letteralmente “colui che allontana gli influssi nefasti”.

Produzione cinese, XIX secolo, Dinastia Qing (1644-1911), bronzo, fusione a cera persa, patinatura e traforo. Incensiere a forma di unicorno mitologico accovacciato su una base rocciosa, con la coda sollevata e la testa girata di profilo con le fauci aperte. Sul dorso il foro centrale del fornello è sormontato da un coperchio, che si incastra su tre punti, traforato e formato da alcuni oggetti uniti tra loro, tra cui: uno scettro ruyi, una fiasca, uno stendardo a farfalla, una perla e un corno a conchiglia. La posa della creatura, con la testa rivolta all’indietro, è tradizionale, ma la presenza del un coperchio traforato e degli oggetti, rende il manufatto alquanto originale.

Produzione cinese, XIX secolo, procellana blanch de chine. Statuetta raffigurante Guanyin su piedistallo di roccia con draghi e fior di loto (?) alla base e due bambini oranti. Il bodhisattva è raffigurato incoronato con un bambino fra le mani. Alla sua destra la fiaschetta amrita e alla sua sinistra un libro. I capelli e il loto sono decorati con leggero intaglio sotto coperta.

GIAPPONE

Dal Giappone provengono più di 1500 manufatti che vanno dal periodo Momoyama (1573-1615) al periodo Meiji (1868-1912). Porcellane, tessuti e bronzi, corredi di armi, lacche, avori e oggetti strettamente legati alla tradizione giapponese permettono di documentare la storia delle arti e della cultura di questo paese.

Al centro di questa sezione è esposta una spettacolare barda da cavallo in legno laccato, con maschera di Periodo Edo (1603-1868). Lungo le fasce laterali sono collocati mobili lignei realizzati in Giappone secondo il gusto occidentale, così come paraventi a due ante in legno, laccato in vari colori, e in parte lavorati in maki-e (“pittura cosparsa”) con inserti in avorio (epoca Meiji 1868-1912).

Giappone, seconda metà sec. XIX, statuetta in bronzo e smalti champlevé di leoncino cinese (karashishi), con le zampe posteriori sollevate e le anteriori schiacciate a terra. Lo champlevé è un’antica tecnica di decorazione a smalto di Limoges, che prevede che alveoli o cavità vengano scavati sulla superficie di un oggetto metallico e riempiti di smalto vitreo. Il bronzo è un tipico oggetto creato per l’esportazione.

Manifattura giapponese, sec. XVII, legno, lacca, rame dorato, argento, oro. Scatola da cancelleria (bunko) in legno laccato e decorato con varie tecniche varianti del maki-e (“pittura a oro spruzzata”). La decorazione si compone di immagini ispirate al capitolo Hatsune del Genji monogatari: sulla superficie esterna della scatola si vedono quindi un padiglione, un corso d’acqua e una serie di alberi di pino (matsu); è inoltre presente, ripetuto per più volte, il mon (simbolo araldico) dei Tokugawa e l’iscrizione di una poesia di trentuno sillabe.

Giappone, sec. XIX, Borsa da tabacco (tabako-ire) in pelle rivestita di tessuto lavorato in parte a oro, con maglia metallica. Sull’esterno la pelle è rivestita da velluto blu, mentre all’interno vi è una decorazione floreale in foglia d’oro su fondo blu. Sul lembo di chiusura della borsetta è presenta una fibbia (kanagu) in metallo raffigurante un drago (ryu). Il netsuke in avorio scolpito, invece, raffigura una rana, un serpente e una lumaca: un’iconografia molto popolare in Giappone, nota come Sansukumi (letteralmente “punto morto tripartito”). Il serpente mangia il rospo ma può essere ucciso dal veleno della lumaca, il rospo mangia la lumaca ma può essere ucciso dal serpente, infine la lumaca può uccidere il serpente ma può essere mangiata dal rospo.

AMERICA INDIGENA

Altro nucleo molto cospicuo è quello della raccolta preispanica e amerindiana. Le terrecotte, i tessuti e i manufatti realizzati con materiali eterogenei (piume, semi, avori, legni, metalli preziosi) testimoniano le diverse produzioni del continente, dai manufatti archeologici di area mesoamericana e andina, arricchitesi in particolare grazie alle donazioni Balzarotti e Torricelli e dal più recente comodato HN Inuit Collection (un gruppo di 61 sculture provenienti dall’Artico canadese),

a quelli moderni dell’Amazzonia, giunti al Mudec grazie alla donazione del medico itinerante Aldo Lo Curto e che testimoniano l’etnografia contemporanea del Brasile.
La collezione di terrecotte andine, la più completa, copre un arco temporale che va dalla fine del Formativo (1500 a.C.) all’epoca della conquista spagnola (XVII secolo).

Argentina, ante 1000, terracotta. Vaso antropomorfo raffigurante una venere steatopigia, con larga apertura superiore e anse laterali. Impasto grossolano color grigio-crema modellato a mano; bocca, naso, occhi, sopracciglia e orecchie applicate. Il vaso rappresenta una figura femminile seduta con gambe e glutei enormi che fungono da base del vaso. Il volto presenta incisioni che simulano tatuaggi. Le sopracciglia e le orecchie sono rappresentate da due linee in rilievo, senza soluzione di continuità, che si dipartono dalla radice del naso e che sono decorate con trattini orizzontali incisi. Occhi (uno è mancante) a chicco di caffè

Brasile, Cultura Kayapò, seconda metà sec. XX, cotone, piume e fibre vegetali. Ornamento per la testa di cotone, penne e piume. Il supporto di cotone è costituito da numerose cordicelle intrecciate. Le 181 penne sono disposte in un’unica fila a crescere in altezza dalle estremità verso il centro, 153 sono rosse e 28 marroni. Si fissa ad un supporto di fibre di palma buritì tramite l’uso di appositi lacci. Utilizzato da persone di alto rango di sesso maschile in occasioni rituali.

Perù, Cultura Inca, XV – XVI secolo, cotone e lana di camelide. Tessuto rettangolare policromo che raffigura una serie di penne, come quelle applicate in alcuni tessuti cerimoniali andini. L’ordito del tessuto è in cotone, mentre le trame lavorate ad arazzo sono in fibra di camelide e cotone.

AREA ISLAMICA

In questa sezione sono raccolti gli oggetti provenienti dalle aree di diffusione dell’Islam, che includono quindi il Nord Africa, il Vicino Oriente e parte dell’Asia Centrale. Molto rilevante è la collezione dei tappeti, databili tra il XVI e il XIX secolo, che comprende anche esemplari provenienti dalla manifattura di Ushak (XVI – XVII secolo). Interessanti anche alcuni copricuscino provenienti dalla città di Bursa, ove era presente una famosa manifattura imperiale.

La collezione comprende inoltre una rassegna di oggetti in ceramica sia ornamentali che di uso quotidiano, i più antichi provenienti dall’Iran e dalla Siria databili tra il XII e il XIII secolo.
Tra le ceramiche si segnalano anche numerose mattonelle provenienti dalla Siria databili tra il XVI e il XVII secolo che erano utilizzate per impreziosire gli edifici sacri.

Turchia, sec. XVII, velluto in seta. Tessuto decorato con file sfalsate di garofani stilizzati broccati su fondo rosso. Ogni forma floreale è composita; da un motivo ad arabesco si aprono due foglie dal profilo seghettato (saz) con al centro un tulipano stilizzato da cui hanno origine sette petali di garofano sfrangiati. Lungo i lati corti ci sono sei cartelle contenenti ancora motivi floreali stilizzati. Quello del garofano stilizzato e aperto è uno dei motivi più popolari fra i tessuti prodotti a Bursa dalle manifatture imperiali ed eseguito in numerose varianti.

Area dell’Asia centrale, XVII – XVIII secolo, legno, avorio e cuoio. Sella in legno ricoperta in pelle con bordi e decorazioni in osso e laccata in verde. Presenta al centro un motivo floreale che raffigura un tulipano, uno dei quattro fiori classici dell’arte islamica.

Siria, 1590-1610, ceramica. Mattonella di forma quadrata dipinta in blu, verde, malva e bianco sotto invetriatura trasparente. La decorazione è divisa in tre bande verticali. In entrambe le fasce laterali è presente un fregio continuo di palmette. La parte centrale, più ampia, è ornata da un vaso portafiori a doppia bocca e manici arcuati. Ai lati del vaso, decorato da sferette sovrapposte a motivi simili a chicchi di riso, si riconoscono tulipani e garofani.

SUD EST ASIATICO E ISOLE OCEANICHE

La collezione del Sud Est Asiatico e Isole Oceaniche presenta una grande varietà di tipologie di opere, di materiali e di datazioni; comprende armi ottocentesche, tessuti, abiti di fattura indiana e oggetti ornamentali del XX secolo provenienti dalle Isole Salomone. Si tratta di una collezione che, grazie alla collaborazione dei missionari e dei collezionisti privati,

partendo dal lascito ottecentesco del Pime (Pontificio Istituto delle Missioni Estere) è stata poi accresciuta con l’aiuto di donazioni e depositi di benefattori milanesi, fra i quali Alessandro Passaré e Aldo Lo Curto. Di recente sono giunti diversi materiali di area culturale Asmat: il comodato Fardella-Azzaroli e l’acquisto Leigheb-Fiore.

Thailandia, Ban Chiang, 300 a.C. – 200 d. C., terracotta, vaso da sepoltura con decorazioni in rosso. Questi vasi, decorati con spirali e uncini rossi, sono tipici dei siti funerari di Ban Chiang nel nord-est della Thailandia. Erano in genere sepolti insieme al corpo, contenendo cibo o altri oggetti utili al defunto nel suo trapasso ultraterreno.

Indonesia, sec. XX, legno, calce, ocra rosso, polvere di carbone. Lo scudo presenta una forma rettangolare con simboli rossi su fondi bianco, elementi decorativi tipici della regione centrale Asmat. Questi disegni sono simboli ainor, utilizzati sugli scudi allo scopo di terrorizzare i nemici. Nella parte superiore dello scudo si notano due figure di antenati scolpite e dipinte in rosse e nero, la quali fuoriescono dallo scudo stesso e ne rappresentano il tjemen.

Indonesia occidentale, isola di Nias, sec. XX, metallo, legno, vimini, osso. Balato, spada con cesto di denti applicato alla fodera dell’arma.

CAPPELLI E VENTAGLI

La collezione Cappelli e Ventagli è costituita da 124 opere ascrivibili ai secoli XIX e XX, provenienti da tutto il mondo

Alcuni ventagli risalgono al XVIII secolo e sono realizzati in carta, legno e paglia riccamente decorati con materiali naturali tra cui piume d’uccello.

India, XX secolo, cotone e oro. Cappello con cotone trapuntato, interno rosso, esterno viola e decori in oro.

Martinica, Caraibi, XX secolo. Ventaglio realizzato con foglie di palma intrecciate con decori in verde, giallo e viola. La struttura a semicerchio termina con un’impugnatura ad anello.

Cina, XIX secolo, seta e legno. Ventola pien mian (“per coprire il viso” in mandarino) a schermo in taffetà di seta bianca, con ricami floreali in seta policroma e decoro dipinto a inchiostro e colori raffigurante delle dame in un interno e in un giardino. La cornice è ottagonale e il manico è in legno ebanizzato, dalla forma leggermente arcuata.

STRUMENTI MUSICALI ETNOGRAFICI

La visita al deposito si conclude con una sezione dedicata agli strumenti musicali, trasversale alle altre in quanto abbraccia tutte le aree geografiche.

Le differenti tipologie di manufatti sono esposte per nuclei geografici e culturali.

Pakistan, prima metà sec. XX, legno, pelle, crini di cavallo, acciaio, ottone, specchio, nylon. Sarinda (liuto ad arco), cassa armonica cuoriforme, parzialmente ricoperta di pelle che forma il piano armonico; sulla cassa cinque cerchi a specchio circondati da cerchietti color argento; stessi decori sullo spessore e sul riccio; sei piroli (e quattro mancanti). Varie decorazioni con nappe di filo colorato.

Produzione cinese, Yueqin (Chitarra-luna), legno, fibra naturale. Si tratta del principale liuto a manico corto a collo della musica tradizionale cinese con cassa “a chitarra”, vale a dire costituita da tavole assemblate e non da un blocco di legno scavato per ricavarne un guscio. Il nome si può tradurre come “strumento a corde a forma di luna”, a causa della perfetta circolarità della cassa armonica. L’altro carattere morfologico tipico dello Yueqin è costituito dal manico, particolarmente corto. Secondo la tradizione cinese lo Yueqin risalirebbe per le sue origini al III-V sec. d.C. (periodo delle Dinastie Minori). Oggi è prevalentemente dedicato all’accompagnamento del canto in un ambito intermedio tra quello della musica classica e quello propriamente popolare.

Marocco, sec. XX, pelle, terracotta dipinta, corda. Il corpo in forma di calice, dipinto con colore azzurro, a formare due fasce con motivi tipici della decorazione popolare araba, si apre verso l’alto in una modesta svasatura conica, sulla quale è tesa una membrana di pelle animale, probabilmente mesoderma, assicurata per mezzo di colla. In Marocco è considerato innanzitutto il tamburo delle donne, prevalentemente in ambiente urbano, ove circolano nei mercati soprattutto le versioni dipinte a colori vivaci. Si impugna con una mano nel punto più stretto e si percuote la membrana con l’altra mano, di solito senza ricorrere a particolari tecniche esecutive, ma ottenendo comunque elaborati effetti ritmici per la sovrapposizione di molteplici colpi inferti contemporaneamente su altrettanti tamburi.

MODALITÀ DI ACCESSO

Per ragioni di studio è possibile prendere appuntamento per accedere ai depositi scrivendo a c.museoculture@comune.milano.it.

Visite guidate sono soggette a prenotazione obbligatoria e alle disponibilità del personale museale.

Un programma speciale di visite guidate ai depositi delle collezioni fa parte del palinsesto legato all’installazione “Luce dietro tracce incompiute” di Mariana Castillo Deball.

Info alla pagina dedicata.